Blog

Come raccontare l’arte sui social? Intervista a Luca Timpani

By 30 Gennaio 2024 No Comments

L’arte di comunicare l’arte. Per approfondire la figura dell’art influencer e capire come inserire correttamente questa figura nei progetti di comunicazione, abbiamo posto alcune domande a Luca Timpani.

Luca Timpani, avvocato specializzato in diritti d’autore e protezione della proprietà intellettuale di Roma, è un art ambassador e collezionista.
La sua attività di raccolta di opere d’arte inizia nel 2010, affiancandola a un’intensa operatività nel campo del marketing virale, sviluppata attraverso l’account Instagram @concettotimpani.

Online e offline, ha sviluppato il proprio progetto #concettotimpani, un mezzo di sponsorizzazione artistico interattivo e dinamico basato sulle piattaforme digitali, migliorando la visibilità di artisti emergenti e rivolgendosi ad un pubblico di trentamila follower.

Nel 2017 Larry’s List lo inserisce tra i venticinque più popolari collezionisti d’arte attivi su Instagram.

Charles Saatchi, tra i principali collezionisti d’arte, afferma: “Non esistono regole per gli investimenti. Gli squali possono funzionare. Le feci d’artista possono funzionare. L’olio su tela può funzionare. Ci sono squadre di sovrintendenti di museo, là fuori, pronti a prendersi cura di qualsiasi cosa un artista decida che è arte.”

Cos’è ‘arte’ per uno dei più giovani e influenti collezionisti della scena italiana? Su quali parametri orienti i tuoi investimenti?

Luca Timpani: Il concetto di arte, oltre che strettamente personale e soggettivamente collegabile con le esigenze ed i piaceri dell’essere umano, è variabile a seconda del tempo, dei luoghi e delle dinamiche che ci circondano.

Nella mia visione, condivido in pieno l’idea di Saatchi, specificando che l’arte è ciò che mi soddisfa, che mi riempie e che mi fa sentire bene. Davanti ad un’opera possiamo rimanere indifferenti o provare delle emozioni – di entusiasmo o di ribrezzo – ma sensazioni. Nel momento in cui qualcosa comunica con il nostro essere, ecco, per me questo è arte. Ovviamente, quando scelgo un pezzo per la mia collezione, pretendo che l’emozione in questione sia ‘positiva’, prettamente legata all’estetica e ad un ricordo.

Mi piace circondarmi di ciò che mi fa star bene.

 

Il mercante d’arte Joseph Duveen praticava prezzi altissimi e difese questa scelta dicendo: “Quando si paga molto per qualcosa che non ha prezzo, si sta facendo un affare”.

I ricchi cercano di acquistare quelli che gli economisti chiamano beni di posizionamento: oggetti che possono dimostrare al resto del mondo che sono veramente ricchi. Accade che al collezionista non importi del valore storico o estetico di un’opera, ma interessi che al primo sguardo si capisca immediatamente che quello che ha appeso in salotto è quadro di un artista celebre.

Possiamo realmente ridurre il collezionismo a ostentazione di beni costosi? Il valore estetico di un oggetto è legato esclusivamente al suo prezzo?

Luca Timpani: Assolutamente no, e spero proprio di no. Sono un sano ostentatore dell’estetica, e questo è un concetto che va oltre il prezzo. Non tutto ciò che è caro è sinonimo di bello, come non tutto ciò che è economico coincide con il brutto. Pensiamo ad un cavolo, il prezzo è relativamente basso ma la forma e la composizione architettonica è sensazionale. Questo è riscontrabile, a mio avviso, anche nel collezionismo.

L’unico elemento che fa la differenza, dunque, è la tiratura. Un pezzo unico, poiché irripetibile, può – o dovrebbe – essere acquistato ad un prezzo relativamente alto. Un lavoro in serie – e potrei fare una lista di artisti contemporanei infinita – per quanto ‘bello’, andrebbe commisurato all’offerta. Il tutto, non al fine del ‘posizionamento’ all’interno di una scala sociale, ma al primario scopo di dare il giusto peso – o prezzo – al bene.

Ma poi, al dunque, anche ‘prezzo caro’ è un discorso soggettivo.

Oggi la storia dell’arte viene scritta con il libretto degli assegni? Qual è il peso dei collezionisti nel processo di affermazione di un artista?

Luca Timpani: Al riguardo vorrei distinguere tra collezionisti privati, come il sottoscritto, e collezionisti pubblici, come i musei o le fondazioni. Per i secondi, ampio potere nello scrivere la storia. Forse sono gli unici competenti per farlo.

Nel mio piccolo, sono lusingato quando altri collezionisti mi interrogano su ‘cosa va di moda e cosa no’, tuttavia, la mia risposta è sempre la stessa: a me piace questo, piuttosto che quest’altro.

 

Il tuo è un collezionismo 2.0, dove Instagram è la piattaforma per archiviare la tua raccolta. Sei un art influencer riconosciuto, capace di innescare efficaci meccanismi di promozione di artisti emergenti.

La chiave del tuo successo è certamente un personal branding coerente e innovativo: la tua immagine e le opere d’arte sono le costanti dell’intera galleria multimediale. Come hai maturato questo linguaggio? Come adatti il racconto dell’arte al web?

Luca Timpani: Sono sempre stato attratto dall’arte e dalle pubbliche relazioni. Sin da piccolo ho condiviso le mie passioni con gli altri. Per il resto, ci ha pensato la tecnologia: io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto appoggiandomi ai nuovi concetti di comunicazione.

La scelta di brandizzare la mia figura è stata causale, forse per mero egocentrismo. Ad oggi dedico molto tempo ad Instagram, tra ricerca, shooting e promozione degli artisti. Dietro ad una foto, spesso, ci sono ore e ore di preparazione.

 

Sono molti gli artisti emergenti a chiedere il tuo endorsement, proponendosi per la tua collezione. Che vantaggi trae l’arte dall’influencer marketing? Come migliorano le performance di un artista a seguito del coinvolgimento di un art ambassador?

Luca Timpani: Gli artisti, un po’ come i liberi professionisti, hanno sempre voglia – e bisogno – di ampliare il loro pubblico, inteso come fruitore e consumatore. Forse è stato questo il trucco: da avvocato, agli esordi della carriera, ho cercato la maniera più vantaggiosa e meno costosa per allargare il giro di clienti.

Lo stesso modus operandi, l’ho riproposto per gli artisti. Il segreto è che non ci sono rischi. Partecipare ad un progetto di comunicazione digitale – che va dalla pubblicazione dell’opera sui social fino al piazzamento dell’artista sul mercato – può avere solo riscontri positivi, o al massimo non cambiare nulla.

Di certo, essere pubblicizzato tra un pubblico molto ampio, per la maggioranza appartenenti al settore dell’arte – gallerie, art advisor, collezionisti, fondazioni e simili – comporta maggiore visibilità e potenziali acquirenti, oltre che la possibilità di essere contatati per mostre, esibizioni o performance.

Leave a Reply